Wecity: andare al lavoro in bici per guadagnare incentivi, come funziona

Wecity: andare al lavoro in bici per guadagnare incentivi, come funziona

Con Wecity ogni viaggio casa-lavoro può diventare un’opportunità di guadagno e riconoscimento. Wecity, società benefit con sede a Modena, ha sviluppato un’app capace di registrare gli spostamenti e riconoscere in modo automatico il mezzo di trasporto utilizzato. Il sistema, basato su un algoritmo proprietario, distingue tra bicicletta, mezzi pubblici, camminata o auto, analizzando velocità e percorso senza bisogno di attivazioni manuali.

Come funziona Wecity

Fondata a Modena nel 2014 come PMI innovativa, nel 2020, a seguito della pandemia, si è trasformata in una startup di successo sul territorio italiano tramite un’app disponibile per Android e iOS. L’obiettivo è favorire un cambio culturale, spingendo imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini a scegliere mezzi meno impattanti e più salutari. Ogni spostamento sostenibile genera un dato concreto, traducibile in riduzione certificata di CO₂. L’algoritmo di Wecity, certificato secondo la norma ISO 14064-II e con un’accuratezza superiore al 95%, è anche brevettato e capace di riconoscere in modo multimodale più mezzi di trasporto nello stesso percorso. Il dato ambientale è validato da RINA e consente di trasformare le emissioni evitate in crediti di carbonio, aprendo la strada a nuovi modelli di mobilità incentivata e tracciabile.

Wecity:incentivi per chi si muove in modo sostenibile

Il principio resta semplice: più ti muovi in modo sostenibile, più accumuli punti e incentivi. Le aziende e le amministrazioni locali possono creare campagne personalizzate — come Bike to Work e Bike to School — con riconoscimenti che vanno da 0,10 a 0,30 euro per chilometro, fino a un tetto mensile o annuale. In alcune città, gli incentivi economici sono stati sostituiti da CO₂ Coin, una moneta virtuale che può essere spesa nei negozi aderenti, sostenendo così l’economia locale. Le imprese utilizzano Wecity anche come strumento di welfare e come leva per migliorare i propri indicatori ESG.

Wecity: una community che misura l’impatto ambientale

L’app include anche funzioni per la valutazione della sicurezza stradale e del rumore urbano, i cui risultati vengono anonimizzati e trasformati in mappe utili per la pianificazione urbana. Attraverso la funzione Bike Safe, gli utilizzatori possono segnalare punti critici o percorsi sicuri, alimentando un portale nazionale consultabile liberamente. Come spiega Paolo Ferri, CEO di Wecity, “ogni feedback conta, ogni pedalata può fare la differenza. Questo approccio partecipativo permette alle amministrazioni di raccogliere dati utili per migliorare le infrastrutture e rendere le città più sicure e vivibili. È una dimostrazione concreta di come l’innovazione digitale possa abilitare comportamenti virtuosi e generare impatto collettivo.”

Dove è attiva Wecity

Il progetto è operativo in numerose città italiane che hanno scelto di promuovere la mobilità sostenibile attraverso l’app: Modena, Savona, Reggio Emilia, Cuneo, Grosseto, Imola, insieme a enti pubblici, scuole e università. Oggi la community conta circa 100.000 utenti attivi e oltre un centinaio di organizzazioni coinvolte, con una crescita media annua di circa il 40%. Nel 2024 Wecity ha aperto la propria tecnologia tramite una API finanziata da EIT Urban Mobility, nell’ambito del progetto europeo GreenMob. L’iniziativa coinvolge Italia, Spagna, Francia e Ungheria per realizzare un pianificatore multimodale di viaggi sostenibili, capace di calcolare le emissioni evitate e di integrarsi con piattaforme di Mobility as a Service (MaaS). Il sistema è stato testato nelle città di Viladecans, Debrecen e Cesena, con l’obiettivo di rendere disponibili entro il 2025 strumenti di calcolo certificato delle emissioni e nuovi modelli di mobilità digitale.

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Microsoft licenzia chi denuncia Azure a Gaza. Poi ammette: “Avevano ragione”

Microsoft licenzia chi denuncia Azure a Gaza. Poi ammette: “Avevano ragione”

Ad aprile 2025, due ingegneri software di Microsoft vengono licenziate dopo aver protestato contro l’uso della piattaforma cloud Azure da parte dell’esercito israeliano.
Le dipendenti accusano l’azienda di fornire tecnologie di intelligenza artificiale impiegate per la sorveglianza di massa dei palestinesi e per individuare bersagli militari nella Striscia di Gaza.
Microsoft giustifica i licenziamenti parlando di “gravi violazioni delle politiche aziendali”.
Poche settimane dopo, un’inchiesta giornalistica internazionale e una successiva revisione interna confermano ciò che le due ingegnere avevano denunciato: le infrastrutture Azure erano state effettivamente utilizzate per operazioni militari in violazione dei termini di servizio.
È l’inizio di uno dei casi più controversi nella storia recente della tecnologia: la guerra nel cloud.

I fatti: cosa è successo davvero

Ad aprile 2025, durante la celebrazione del 50° anniversario di Microsoft, due dipendenti hanno interrotto l’evento protestando contro l’uso della piattaforma Azure da parte dell’esercito israeliano. Ibtihal Aboussad ha urlato verso Mustafa Suleyman, CEO di Microsoft AI: “Come osate celebrare quando Microsoft sta uccidendo bambini?”. Vaniya Agrawal ha poi gridato verso Bill Gates, Steve Ballmer e Satya Nadella: “50.000 palestinesi a Gaza sono stati uccisi con tecnologia Microsoft. Come osate?”.

Entrambe sono state licenziate immediatamente. Il loro gruppo, “No Azure for Apartheid”, denunciava l’utilizzo della piattaforma cloud Azure da parte dell’esercito israeliano per condurre sorveglianza di massa sui palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.

La posizione ufficiale dell’azienda? In una nota pubblica di maggio 2025, Microsoft dichiarò: “Sulla base di audit interni ed esterni condotti fino ad oggi, non ci sono prove che Azure o le tecnologie di intelligenza artificiale di Microsoft siano state utilizzate per sorvegliare o prendere di mira civili nel conflitto di Gaza.”

L’inchiesta che ha cambiato tutto

Il 7 agosto 2025, un’inchiesta congiunta del Guardian, +972 Magazine e Local Call ha rivelato dettagli basandosi su documenti interni di Microsoft trapelati e interviste con 11 fonti tra dipendenti Microsoft ed ex membri dell’intelligence israeliana.

I dati emersi sono diversi:

L’Unità 8200 dell’esercito israeliano (equivalente funzionale della NSA americana) utilizzava Azure per archiviare registrazioni di milioni di telefonate intercettate di palestinesi
Nei data center Microsoft in Olanda erano conservati circa 11.500 terabyte di dati militari israeliani – equivalenti a circa 200 milioni di ore di audio
Il sistema era operativo dal 2022, dopo un incontro del 2021 tra l’allora comandante dell’Unità 8200, Yossi Sariel, e il CEO di Microsoft Satya Nadella nella sede di Seattle
L’obiettivo dichiarato internamente era ambizioso: processare “un milione di chiamate all’ora”
Tre fonti dell’Unità 8200 hanno confermato che i dati archiviati su Azure “hanno facilitato la preparazione di attacchi aerei mortali” e “hanno plasmato le operazioni militari a Gaza e in Cisgiordania”

Prima della partnership con Microsoft, l’Unità 8200 poteva conservare sui propri server interni solo le telefonate di decine di migliaia di palestinesi definiti “sospetti”. La capacità di storage pressoché illimitata di Azure ha permesso di espandere la sorveglianza a scala di massa indiscriminata.

Altri quattro licenziamenti

Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, il 29 agosto 2025 Microsoft ha licenziato altri quattro dipendenti che avevano partecipato a proteste pacifiche nella sede di Redmond, Washington.

Anna Hattle e Riki Fameli sono state tra le prime a ricevere messaggi vocali con la comunicazione del licenziamento immediato. Successivamente sono stati allontanati anche Nisreen Jaradat e Julius Shan. Due di loro avevano partecipato a un sit-in nell’ufficio del presidente Brad Smith, insieme ad altri sette colleghi che sono stati arrestati.

Microsoft ha giustificato i provvedimenti come conseguenza di “gravi violazioni delle politiche interne”. In una dichiarazione, l’azienda ha affermato che gli accampamenti nella sede Microsoft avevano “creato significativi problemi di sicurezza”.

La svolta: Microsoft ammette

Il 25 settembre 2025, circa sei settimane dopo i licenziamenti di agosto, è arrivata la svolta. Brad Smith, Vice Chair e President di Microsoft, ha inviato un memo interno ai dipendenti con un annuncio senza precedenti.

Microsoft aveva “cessato e disabilitato un insieme di servizi a un’unità all’interno del Ministero della Difesa israeliano”.

Nel memo, pubblicato anche sul blog aziendale “Microsoft On the Issues”, Smith ha scritto: “Abbiamo trovato elementi che supportano le indagini giornalistiche. Questi elementi includono informazioni relative al consumo da parte del Ministero della Difesa israeliano di capacità di storage Azure nei Paesi Bassi e all’uso di servizi AI.”

La decisione è stata presa dopo una “revisione urgente” condotta dallo studio legale esterno Covington & Burling, basata sull’esame di documenti aziendali, estratti conto finanziari, contratti e corrispondenza interna.

Per la prima volta dall’inizio della guerra a Gaza nell’ottobre 2023, una grande azienda tecnologica americana ha revocato l’accesso dell’esercito israeliano ad alcuni dei suoi prodotti cloud. Come riportato da TechCrunch, Smith ha dichiarato nel blog post: “Non forniamo tecnologia per facilitare la sorveglianza di massa dei civili. Abbiamo applicato questo principio in ogni paese del mondo e lo abbiamo ribadito ripetutamente per più di due decenni.”

Ricapitoliamo la sequenza temporale:

Aprile 2025: Due dipendenti licenziate per proteste al 50° anniversario
7 agosto 2025: Inchiesta Guardian/+972/Local Call documenta con prove l’uso improprio di Azure
15 agosto 2025: Microsoft annuncia una revisione esterna
29 agosto 2025: Altri quattro dipendenti licenziati per proteste
25 settembre 2025: Microsoft conferma che “elementi supportano le indagini giornalistiche” e disabilita i servizi all’Unità 8200

In sostanza: dipendenti vengono puniti per aver denunciato un problema che l’azienda, poche settimane dopo, ammette essere reale.

Hossam Nasr, uno degli organizzatori di “No Azure for Apartheid” (licenziato nell’ottobre 2024 per una protesta non autorizzata), ha commentato dopo la decisione di settembre: “Questa è una vittoria senza precedenti, ma alla fine non abbastanza. Microsoft ha disabilitato solo un piccolo sottoinsieme di servizi per una sola unità nell’esercito israeliano. La stragrande maggioranza del contratto di Microsoft con l’esercito israeliano rimane intatta.”

Come riportato da Al Jazeera, diversi dipendenti hanno lasciato l’azienda in protesta, mentre altri sono stati arrestati durante le manifestazioni.

I numeri della partnership Microsoft-Israele

Documenti del Ministero della Difesa israeliano rivelano la portata della collaborazione:

Tra ottobre 2023 e giugno 2024, il Ministero ha speso 10 milioni di dollari per acquistare 19.000 ore di supporto ingegneristico da Microsoft
L’uso mensile di servizi AI di Azure da parte dell’esercito israeliano è aumentato di sette volte nell’ottobre 2023 rispetto al mese precedente
A marzo 2024, era 64 volte superiore rispetto a prima della guerra
Decine di unità militari israeliane,  forze aeree, terrestri, navali, oltre all’Unità 8200, si affidano ai servizi cloud di Microsoft
Microsoft ha fornito accesso estensivo al modello GPT-4 di OpenAI grazie alla partnership tra le aziende.

Un ufficiale dell’intelligence che ha servito nell’Unità 8200 ha raccontato a +972 e Local Call che gli ingegneri Microsoft lavoravano direttamente nelle unità militari israeliane su progetti “sensibili e altamente classificati”, inclusi sistemi di sorveglianza. I developer di Microsoft erano talmente integrati da essere considerati “persone che lavorano con l’unità”, come se fossero soldati.

Le domande che ogni rivenditore IT deve porsi

Questa vicenda solleva interrogativi fondamentali per chi lavora nel settore tecnologico, specialmente per chi rivende soluzioni cloud enterprise:

Trasparenza contrattuale:Quando vendi Azure, Google Cloud o AWS ai tuoi clienti, conosci realmente come e dove vengono utilizzati quei servizi? I termini di servizio proteggono davvero da usi impropri?
Responsabilità della catena di fornitura: Se un tuo cliente utilizza le soluzioni cloud che gli hai venduto per attività discutibili o illegali, qual è il tuo livello di responsabilità? Dove finisce il tuo ruolo di semplice rivenditore e dove inizia la complicità?
Whistleblowing e cultura aziendale: Se fossi stato tu al posto degli ingegneri Microsoft, cosa avresti fatto? Se lavorassi per un’azienda che punisce chi segnala problemi etici, come ti sentiresti?

La risposta di Microsoft

Secondo fonti riportate dal Guardian, l’Unità 8200 ha rapidamente trasferito i dati di sorveglianza dai server Microsoft ad Amazon Web Services (AWS) nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione dell’inchiesta di agosto. Come riportato da CBS News, fonti dell’intelligence hanno confermato che Unit 8200 pianificava di trasferire circa 8TB di registrazioni su AWS. Il problema, quindi, non è stato risolto: si è semplicemente spostato.

Microsoft ha mantenuto attivi numerosi altri progetti con unità militari israeliane che sono clienti di lunga data. La decisione di settembre 2025 ha riguardato solo un sottoinsieme specifico di servizi per l’Unità 8200. Un funzionario israeliano anonimo ha dichiarato all’Associated Press che la decisione di Microsoft “non causerà alcun danno alle capacità operative” dell’esercito israeliano.

Il vero costo del cloud computing

Questa vicenda rivela una verità scomoda: le infrastrutture cloud non sono neutrali. Non sono semplici “tubi” attraverso cui passano dati. Sono strumenti potentissimi che amplificano le capacità di chi li utilizza – nel bene e nel male.

Tre lezioni per il settore IT

I termini di servizio da soli non bastano.Microsoft aveva clausole chiare contro l’uso per sorveglianza di massa. Servono meccanismi di audit indipendenti, frequenti e trasparenti.
La cultura aziendale conta più delle policy.Un’azienda che licenzia chi solleva problemi etici, per poi ammettere che quei problemi erano reali, ha un problema strutturale. Non di policy, ma di valori.
La neutralità tecnologica è un mito.Ogni scelta di architettura, ogni partnership commerciale, ogni contratto firmato ha conseguenze etiche. Ignorarle non le fa sparire.

Gli sviluppi recenti

Appena mercoledì scorso (6 novembre 2025), Brad Smith ha inviato un nuovo memo interno ai dipendenti Microsoft annunciando la creazione di una sezione “Trusted Technology Review” nel portale aziendale Microsoft Integrity Portal, dove i dipendenti possono segnalare preoccupazioni etiche e di sicurezza relative all’uso improprio delle tecnologie Microsoft. Smith ha anche dichiarato che l’azienda rafforzerà “il processo di revisione pre-contrattuale esistente per valutare impegni che richiedono ulteriore diligenza sui diritti umani”. Il movimento “No Azure for Apartheid” ha risposto con scetticismo, continuando a chiedere la completa cessazione di tutti i contratti con l’esercito israeliano.

 

Fonti:

+972 Magazine“Microsoft storing Israeli intelligence trove used to attack Palestinians” (7 agosto 2025)
+972 Magazine“Microsoft revokes cloud services from Israel’s Unit 8200” (25 settembre 2025)
+972 Magazine“Leaked documents expose deep ties between Israeli army and Microsoft” (7 agosto 2025)
Microsoft On the Issues“Update on ongoing Microsoft review” – Brad Smith (25 settembre 2025)
Al Jazeera“Microsoft cloud used in Israeli mass surveillance of Palestinians: Report” (7 agosto 2025)
Al Jazeera“Why has Microsoft cut Israel off from some of its services?” (26 settembre 2025)
Al Jazeera“Microsoft cuts Israeli military’s access to some cloud computing, AI” (26 settembre 2025)
Arab News“Microsoft terminates Israel’s access to technology it used for mass surveillance of Palestinians” (26 settembre 2025)
Arab News“Israel’s Unit 8200 used Microsoft cloud to store ‘a million calls an hour’” (6 agosto 2025)
Times of Israel“Microsoft fires 4 workers for on-site protests over company’s ties to Israel” (29 agosto 2025)
The Hill“Microsoft fires employees who protested its support for Israel at 50th anniversary event” (8 aprile 2025)
Fox Business“Microsoft fires workers who protested against Israel at company event” (8 aprile 2025)
TechCrunch“Microsoft cuts cloud services to Israeli military unit over Palestinian surveillance” (25 settembre 2025)
GeekWire“Microsoft cuts off Israeli military’s access to tech that was reportedly used in Palestinian surveillance”(25 settembre 2025)
CNN Business“Microsoft terminates services for Israeli military after investigation into mass surveillance of Palestinians” (25 settembre 2025)
CBS News“Microsoft blocks Israel’s use of some services after review over mass surveillance of Palestinians” (26 settembre 2025)
Business & Human Rights Resource Centre“USA: Four Microsoft employees fired following protests”
Business & Human Rights Resource Centre“Microsoft terminates Israeli military’s access to technology used to operate mass surveillance system”
Anadolu Agency“Fired Microsoft employees accuse company of enabling Israel’s attacks on Gaza”
Detroit News“Pressured on Israel work, Microsoft asks employees to flag violations” (7 novembre 2025)
Data Center Dynamics“Microsoft launches investigation into Israeli military surveillance agency’s use of its cloud platform” (11 agosto 2025)
Lowyat.NET“Microsoft Cuts Israel’s Access To Azure Cloud Over Surveillance Of Palestinians” (26 settembre 2025)
WebProNews“Microsoft Bans Israel’s Unit 8200 from Azure Over Palestinian Surveillance” (25 settembre 2025)

 

Nota editoriale: Tutte le cifre e le dichiarazioni riportate in questo articolo sono verificabili attraverso le fonti linkate. L’articolo si basa su inchieste giornalistiche indipendenti condotte da Guardian, +972 Magazine e Local Call, oltre a dichiarazioni ufficiali pubblicate da Microsoft.

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Pechino vieta i chip AI stranieri nei data center pubblici: la muraglia cinese del silicio

Pechino vieta i chip AI stranieri nei data center pubblici: la muraglia cinese del silicio

Il governo cinese ha ordinato ai nuovi centri dati statali e finanziati dallo Stato di utilizzare esclusivamente chip per l’intelligenza artificiale di produzione nazionale. La direttiva, confermata da fonti a Reuters, arriva nel pieno delle tensioni tecnologiche con gli Stati Uniti e impone la rimozione o l’annullamento degli ordini di componenti stranieri — in particolare dei chip NVIDIA, AMD e Intel — nei progetti ancora in costruzione. La mossa segna un cambio di rotta netto nel controllo delle infrastrutture digitali e ridisegna la mappa geopolitica della tecnologia. Nasce una Muraglia cinese del Silicio.

Un giro di vite per la “sovranità tecnologica”

By 維基小霸王 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=107112815

L’obiettivo dichiarato è ridurre la dipendenza da fornitori occidentali e favorire la crescita di produttori locali come Huawei, Cambricon e Birentech, protagonisti di un piano di autosufficienza tecnologica accelerato dopo le restrizioni imposte da Washington.

Secondo quanto riportato da Reuters, la nuova regola riguarda tutti i progetti di data center pubblici che non abbiano ancora superato il 30 % di completamento: dovranno eliminare o sostituire qualsiasi chip straniero.
Un funzionario del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology di Pechino, citato dal quotidiano statale Global Times, ha dichiarato:

«L’AI è un’infrastruttura critica. Non possiamo basare la nostra sicurezza digitale su chip progettati altrove. È una questione di sovranità, non di mercato».

Dietro la mossa, un calcolo preciso: i chip di fascia alta come NVIDIA A100 e H100 restano soggetti ai limiti dell’export americano, e il governo cinese vuole prevenire un blocco dell’accesso alle proprie infrastrutture più strategiche.

La reazione americana: “Una scelta politica, non tecnica”

Di Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=163850777

Dall’altra parte del Pacifico, la risposta di Washington non si è fatta attendere. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha commentato la decisione di Pechino definendola “un ulteriore passo verso la frammentazione dell’ecosistema tecnologico globale”:

«Non intendiamo vendere i chip più avanzati alla Cina in questo momento, ma è evidente che questa scelta riflette una logica politica più che industriale».

Anche Jensen Huang, CEO di NVIDIA, ha espresso preoccupazione in un’intervista a CNBC:

«La Cina rappresentava oltre il 20 % della nostra domanda globale di GPU. Una chiusura di quel mercato può rallentare l’innovazione su scala mondiale».

Dietro le dichiarazioni ufficiali, emerge la consapevolezza che la corsa ai chip non è solo una competizione economica, ma una battaglia per la leadership dell’intelligenza artificiale, il “petrolio digitale” del XXI secolo.

Le conseguenze per il mercato e per l’Europa

Nel 2022, i produttori americani controllavano il 95 % del mercato cinese dei chip Ai. Oggi quella quota si riduce drasticamente, con ricadute non solo in Asia ma anche in Europa. I tempi di approvvigionamento, la compatibilità software e i costi di integrazione rischiano di cambiare per chi — come molte PMI italiane — dipende da architetture NVIDIA o AMD per i propri progetti di automazione o analisi dati.

Secondo un’analisi di Investing.com, il divieto potrebbe accelerare la frammentazione della supply chain: i produttori occidentali dovranno cercare nuovi mercati, mentre quelli cinesi troveranno incentivi per scalare più rapidamente.
Un dirigente europeo del settore semiconduttori, citato in forma anonima, osserva:

«Se si dividono i mondi dell’hardware, si dividono anche gli standard del software. Rischiamo un’AI a due velocità, una occidentale e una orientale».

Per le PMI, questo significa doversi muovere con maggiore prudenza nella scelta dei fornitori e delle piattaforme hardware: la compatibilità e la resilienza tornano a essere parole chiave.

Il nodo tecnico: software contro silicio

Gli analisti notano che la Cina, pur avanzando nella produzione di chip, resta indietro sul fronte del software, dove gli strumenti di programmazione, librerie e framework — spesso americani o open-source globali — sono ancora fondamentali.
«Produrre il chip è solo metà dell’opera», ricorda Andrew Ng, docente di Stanford e pioniere dell’apprendimento automatico. «Serve un ecosistema software maturo. Senza quello, le prestazioni rimangono teoriche».

Nel frattempo, i colossi tecnologici cinesi stanno cercando di colmare il divario. Huawei ha annunciato che i propri chip Ascend 910B potranno essere impiegati per addestrare modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM) interamente “made in China”.
Ma la strada resta lunga: come evidenzia Fastbull, i chip locali mancano ancora di un ecosistema di sviluppo competitivo rispetto a CUDA, la piattaforma software di NVIDIA, che domina il settore da oltre un decennio.

Un segnale per le imprese italiane

Sebbene la disputa sembri lontana, le sue onde d’urto arrivano anche nelle sale server europee. Le aziende che oggi adottano soluzioni di intelligenza artificiale devono considerare non solo le performance tecniche ma la provenienza e la stabilità dell’hardware su cui poggia la loro infrastruttura.

Come osserva Paolo Ainis, analista di mercato presso IDC Italy:

«Il tema della sovranità tecnologica tocca anche noi. Ogni azienda dovrebbe chiedersi: se una parte della mia catena digitale domani si interrompe per ragioni geopolitiche, quanto sono pronta a reagire?».

Il messaggio di Pechino è chiaro: la tecnologia è ormai diplomazia e i chip sono i suoi ambasciatori. Perché nell’era dell’AI, non è solo questione di calcolo: è questione di fiducia.

 

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